Turismo religioso
Il turismo è il primo settore commerciale del mondo per espansione, terzo per margini di
profitti dietro il petrolio e il traffico di armi. In Italia, una delle principali mete del pianeta,
la chiesa cattolica è di gran lunga il dominus del settore. Secondo l'indagine Trademark la
chiesa cattolica controlla ogni anno un traffico di 40 milioni di presenze, 19 milioni di
pernottamenti, 250 mila posti letto in quasi 4 mila strutture. Il volume d'affari supera i 5
miliardi di euro all'anno, il triplo del fatturato dell'Alpitour, primo tour operator italiano. In
cima alla piramide organizzativa del turismo cattolico sta l'Opera Romana Pellegrinaggi, che
ha convenzioni con 2500 agenzie e una rete con migliaia di referenti sul territorio.
L'Opr è presieduta da Camillo Ruini, Vicario di Roma, con Liberio Andreatta già
amministratore delegato e ora vice presidente, alle dirette dipendenze della Santa Sede. A
fianco dell'Opr svolge un ruolo importante l'Apsa, l'amministrazione patrimoniale della
Santa sede, che gestisce gli immobili della Chiesa e spesso gli utili alberghieri. Entrambe le
società hanno sede nella Città del Vaticano, godono dunque di un regime di
extraterritorialità che significa in pratica non dover presentare bilanci e sfuggire alle leggi
italiane in materia fiscale, di igiene, prevenzione eccetera.
In più, in tutte le convenzioni fra l'Orp e i clienti, esiste un comma (16) che rimanda "per
tutte le eventiali controversie" alla "legge fondamentale dello Stato della Città del
Vaticano". E qual è la legge fondamentale della Città del Vaticano? Questa, che su qualsiasi
controversia legale, civile o penale, l'ultima parola spetta al Papa. Il turista cattolico o no,
ma in ogni caso al novanta per cento cittadino italiano, che volesse reclamare contro il
servizio offerto, dovrebbe dunque aspettare la parola definitiva del Santo Padre. Nonostante
questo, lo Stato italiano favorisce in vari modi l'Orp, patrocinata anche dal ministero delle
Comunicazioni.
In un settore ricco e in forte espansione come il turismo, l'extraterritorialità si traduce in un
formidabile ombrello fiscale. Non si tratta soltanto dell'Ici non pagata per alberghi,
ristoranti, bar di proprietà degli enti ecclesiastici. Ma anche del mancato gettito di Irpef,
Ires, Irap e altre imposte. Su questo lungo elenco di privilegi fiscali, non soltanto sull'Ici, la
commissione europea ha chiesto da tempo chiarimenti al governo italiano. I lavoratori delle
"case religiose", sempre più spesso veri e propri alberghi rintracciabili sul circuito
commerciale normale, sono spesso suore o preti o volontari o legati da contratti anomali di
collaborazione. Quindi la Chiesa non deve pagare le imposte sul lavoro dipendente.
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